Davide Natta – Direttore Consultorio Cif di Padova
Come altre realtà associative in Italia, anche il Cif si trova ad affrontare le problematiche che l’avvento delle migrazioni porta sempre più spesso all’ordine del giorno.
Ogni ambito della società assume una fisionomia differente dal momento che in esso sono coinvolti cittadini italiani e stranieri, con esigenze e approcci che possono portare ad incomprensioni e conflitti.
La convivenza può essere a volte difficile: nel lavoro, nella scuola, dalle piccole realtà condominiali fino ad arrivare alle relazioni tra comunità straniere ed italiane nelle grandi città.
Il Cif, a partire dalle proprie tradizioni, si pone al servizio di quel lavoro doveroso e necessario di costruzione di nuovi modelli di convivenza sociale di cui il nostro paese ha sempre più bisogno.
Il fenomeno globale dell’immigrazione ha coinvolto l’Europa, e quindi l’Italia, a partire dai primi anni Novanta in seguito al cambiamento degli equilibri mondiali di cui il crollo del muro di Berlino nel 1989 è stata una delle manifestazioni più evidenti.
In pochi anni il nostro paese ha assistito all’arrivo di migliaia di persone provenienti dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’estremo Oriente, dall’America centrale e questo ha comportato una trasformazione della nostra società.
La cultura si confronta con il tema della diversità e dell’alterità in seguito al radicarsi di comunità etniche con tradizioni e costumi spesso molto dissimili dai nostri; la politica adegua la propria agenda alla gestione dei flussi migratori, e mette in atto interventi di accoglienza e di integrazione; l’economia riorganizza il proprio sistema a partire dal contributo che gli immigrati apportano, sia per quanto concerne i costi che i benefici, non lasciando intravedere, il più delle volte, quali siano a prevalere gli uni sugli altri.
In questa complessità, così variegata, non possiamo dimenticare il ruolo delle donne.
Le donne che vengono nel nostro paese, sole, gettano le basi per un eventuale congiungimento familiare, sostengono la famiglia di origine con il proprio lavoro lontano da casa, vivono situazioni di marginalità perché obbligate a rimanere nell’orizzonte chiuso del proprio ambito familiare e della propria comunità di appartenenza, oppure sono oggetto di violenza a causa del loro tentativo di volersi emancipare. Non dimentichiamo, infine, le donne costrette ed umiliate dalla tratta di esseri umani e di tanti altri casi presenti quotidianamente negli organi d’informazione.
Alla cronaca raramente giungono gli esempi positivi, le buone prassi, l’impegno di uomini e donne che operano per le nuove forme di cittadinanza.
Molto in questo ambito è stato promosso e organizzato dal Cif.
La sensibilità delle donne impegnate nel sociale ha permesso di mettere in campo progetti innovativi per andare incontro alle esigenze di molti stranieri e delle donne in particolare.
Ci sono esempi in ogni parte d’Italia.
Iniziative istituzionali pubbliche in collaborazione con il privato sociale.
Il Cif in molte regioni collabora con altre associazioni per creare attività varie e diversificate rivolte ai cittadini stranieri.
Sono progetti, ad esempio, che offrono l’occasione alle persone immigrate d’imparare l’italiano, di apprendere le basi dell’informatica, di avere momenti di aggregazione nel riconoscimento delle diversità delle culture d’origine. Ci sono, poi, i consultori che rispondono a tutte le esigenze delle donne, ma non solo, di ordine sanitario, legale, assistenziale e di sostegno psicologico.
Sono davvero molte le attività messe in campo dal Cif a partire proprio dalla capacità di lavorare in rete con altre realtà del territorio.
Il presente, ma ancora di più il futuro, vede l’esigenza di costruire forti collaborazioni tra enti diversi, di apprendere modalità d’integrazione tra i servizi in grado di operare a partire dal riconoscimento reciproco delle diverse autonomie e delle specifiche competenze.
Un attenzione particolare deve essere riposta sulla formazione degli operatori che sono chiamati ad intervenire in queste reti formali ed informali. Ad essi sarà sempre più richiesta la capacità di sapersi muovere sulla base di un principio d’azione che sappia coniugare le motivazioni soggettive e le esigenze del sistema nel suo insieme, cosi come il sistema complessivo deve essere in grado di saper accogliere l’unicità di ogni punto di vista.
Occupandoci di immigrazione abbiamo il compito di proporre interventi non standardizzati, aperti strutturalmente al cambiamento e alla revisione, pena l’incapacità di agganciare la realtà nelle sue rapide trasformazioni.
Un errore sarebbe quello d’impostare i servizi alla cittadinanza partendo da una visione dall’alto, come sempre più spesso accade, senza ascoltare le istanze che ogni territorio esprime.
Per questo è importante ripensare i livelli di coordinamento delle azioni in campo sociale.
La parola va lasciata ai cittadini, anche a coloro che non lo sono ancora, ma che potranno diventarlo.
Una funzione direttiva può avere un effetto positivo solo se è preceduta dall’ascolto e dal tentativo onesto di comprensione del reale.
Gli interventi dovrebbero andare nella direzione di organizzare momenti di confronto e di partecipazione, nella consapevolezza che questi hanno degli effetti solamente se sono accolti e tradotti in ambito politico.
L’associazionismo rappresenta così quel ponte in grado di collegare la cittadinanza con la politica attraverso il costituirsi e il diversificarsi della società civile, perché solo se trova nuovi legami sociali una società può aspirare al rinnovamento.
Non possiamo nasconderci che l’avvento delle migrazioni chiama in causa la nostra capacità di modificare i nostri modi di organizzazione sociale, ripensando e riformulando i principi che ci fanno riconoscere come una comunità coesa, senza che la nostra identità si costruisca a partire dai confini esteriori e superficiali che la rende diversa dalle altre.
Riprendere i fondamenti del nostro vivere civile è un occasione per offrire anche ad altri i principi attraverso i quali troviamo la ragione delle nostre scelte e della nostra libertà, perché, come ci ricorda Aime, non sono le culture ad incontrarsi, o peggio a scontrarsi, ma sono, solo e sempre, gli individui.
Per queste ragioni, nel nostro tempo, il pensiero femminile diventa cruciale.
Come pratica della custodia dell’unicità di ogni uomo e di ogni donna, al di là di ogni specificazione linguistica che chiude la possibilità all’incontro con l’altro sulla soglia dei nostri pregiudizi.
Il Cif ha un compito imprescindibile, che ha sempre portato avanti, quello di far sentire la voce delle donne nella nostra società, nella speranza che sempre di più le donne divengano il centro di un rinnovamento della cultura e della politica nel nome della differenza.