di Marisa Galbussera (“La Difesa del Popolo”, 2 ottobre 2011)
Dall’esperienza dell’équipe del Consultorio Familiare Cif emerge un dato: il disagio soggettivo è in crescita e si esprime nella difficoltà a stabilire legami.
E’ una “storia di storie” quella che l’équipe del Consultorio Cif ha raccolto lungo questi quarant’anni di attività, che invita a riflettere soprattutto sui cambiamenti che si sono verificati nel disagio delle persone che si rivolgono al servizio. Le forme del disagio soggettivo si modificano al modificarsi della società e del contesto culturale e valoriale in cui sono inserite. In particolare nell’ultimo decennio si è visto un brusco viraggio della psicopatologia, che si è fatta decisamente più “drammatica”. E’ come se gli individui che sono nel disagio “non si sentissero” veramente, è come se fossero sempre più scollegati da loro stessi, come se fossero sempre più spersi, ma nel contempo chiusi al dialogo, come isole solitarie che stentano a farsi avvicinare da una parola benevola.
Non solo la nostra esperienza consultoriale, ma anche tutta la letteratura clinica, converge sull’idea che le forme del disagio soggettivo si vanno aggravando nella direzione di una sempre maggiore difficoltà a stabilire legami, a fidarsi dei legami. Si tratta sempre più di disagi in cui l’altro è chiuso fuori, è espulso dall’orizzonte relazionale: dipendenze patologiche, anoressie, depressioni, disturbi psicosomatici, attacchi di panico sembrano affermare, con una drammatica virulenza, una sorta di estinzione della soggettività. L’altro cui affidarsi diventa così l’oggetto esterno inanimato: il cibo, la droga, il corpo, … Oggetti muti, che non interagiscono, non parlano, non espongono al rischio del legame affettivo con l’altro. I legami sociali sono davvero diventati “liquidi”, evanescenti, instabili, parcellizzati e quello che prevale è la sfrenata e mortifera passione per l’immagine, per il successo fine a se stesso, per l’affermazione egoistica e narcisistica. E il soggetto, la parte più vera di sé, si fa sempre più fragile, più inconsistente, più fatuo.
Tutto questo fa ammalare, ma senza che si capisca cosa succede. E allora spesso si ricorre allo psicofarmaco, che sembra magicamente risolvere il dolore, almeno per un po’. Ma il farmaco non cura il disagio soggettivo, non fa emergere la verità che tormenta l’individuo; casomai, rinforza l’idea che qualcosa di esterno possa normalizzare quello che normale non è: il soggetto umano, che nella sua irrimediabile individualità e irripetibilità non può soccombere ad alcun conformismo precostituito, all’adeguamento a modelli precostituiti e illusori, al formalismo vuoto. E’ invece solo la verità che ciascun individuo nasconde nel suo essere più intimo che può lenire la paura, l’angoscia e il dolore di esistere. E’ solo grazie al legame veritiero, consistente, fedele con l’altro che si può galleggiare su quel mistero insondabile che, sebbene a volte lo neghiamo, ci avvolge inevitabilmente e ci accompagna per tutta la nostra fragile esistenza. E’ solo nel legame, anche terapeutico, affidabile, non giudicante, sostanziale, che il soggetto umano può trovare, o ri-trovare il senso del suo esistere.