di Marisa Galbussera (“La Difesa del Popolo”, domenica 18 dicembre 2011)
Molti studi lanciano l’allarme e parlano della «mancanza di padre» come di un male senza precedenti. Oggi il silenzio dei padri assorda lo studio dell’analista. Ogni giorno gli analizzanti rimproverano loro di non essersi espressi, di non aver parlato, di non essere intervenuti, addirittura di non essere stati in grado di difendersi, di non aver saputo limitare il potere della madre, ecc … Essenzialmente si lamentano di non aver insegnato loro a combattere.
Oggi i padri, sempre più, cercano di essere amici dei figli, anziché delle guide, dei testimoni attendibili, delle fonti di individuazione. Soprattutto in adolescenza – ma non solo – il figlio ha bisogno di un padre con cui confrontarsi e di cui riconoscere la levatura etica, il principio di saggezza. Il padre è infatti il luogo della legge giusta, dell’apertura verso il mondo. Da alcuni studi risulta per esempio che tengono in braccio i figli in modo diverso dalle madri. Queste ultime infatti tenderebbero a rivolgerli verso di sé, verso il proprio corpo, mentre i padri a rivolgerli verso l’esterno, verso il mondo. Il padre è infatti il luogo dell’apertura, dell’articolazione di un progetto duraturo, della fedeltà al futuro, dello sguardo verticale.
Oggi invece, sempre più, i padri tendono a farsi dei breadwinner, procacciatori di pane. L’identità del padre sembra dipendere dal suo successo nel lavoro. Il successo economico e del prestigio sociale prende sempre più il posto dell’etica, del valore. La gerarchia che detta le regole è fatta dalle cifre del profitto. E così i modelli dei giovani, l’apprendimento che per loro davvero conta, viene trovato soprattutto tra gli altri giovani: il legame significativo, la direzione verso cui guardare, è sempre più orizzontale; è uno sguardo breve, molto concreto, legato alla fattività, alla materialità. Come sostiene Luigi Zoja nel suo meritorio volume Il gesto di Ettore, «se ci fermiamo al contenuto materiale delle parole smarriamo il padre». Il padre è la possibilità di pensare la trascendenza, non la materia, caratteristica più squisitamente materna (mater e materia hanno la stessa radice latina). Purtroppo la nostra epoca è lontana dal rispetto dei simboli, dalla preghiera, dai riti come valori in sé. Essendo divenuti più ricchi di oggetti, di cose, e più poveri di psiche, di elevazione, di apertura, non comprendiamo che un mistero può essere più ricco di senso delle sue soluzioni apparenti e pseudoscientifiche.
Ai tempi di Omero il padre, come Ettore con il figlio Astianatte, voleva elevare in un gesto simbolico il figlio al cielo, per chiedere al dio Zeus che egli divenisse più forte di lui. il suo gesto è un gesto simbolico e il suo atto una preghiera. Oggi il padre vuole «elevare» il figlio nella società e fa di tutto perché viva in una condizione più agiata della sua. Egli però offre sempre meno la sua parola rassicurante, simbolica, incoraggiante, e al suo posto offre il denaro sul conto corrente, per aiutarlo a elevarsi nella scala sociale. La risultanza non prevista è che con sempre maggiore frequenza, la promozione sociale del figlio spezza il legame tra le generazioni. Il figlio laureato si vergogna del padre operaio e incolto. E così è sempre più difficile che i figli rispettino il quarto comandamento: «onora il padre e la madre». Essi sembrano voler ripagare della stessa moneta ciò che hanno ricevuto: non il dono spirituale e dunque la continuità tra le generazioni, ma la roba, la sostanza, la materia.
Chi non sa farsi padre infatti ferma lo scorrere delle generazioni e resta a sua volta ostaggio del materno, dell’oralità, dell’appagamento immediato: vive alla giornata, nel soddisfacimento dei bisogni elementari, nell’ebbrezza. Quanto meno in noi è incluso il padre, tanto più esterno e irraggiungibile rimane il padre nostro: Dio. Non è necessario pensare sempre al silenzio, alla inazione, all’assenza dei padri, come conseguenza di una cattiva volontà: piuttosto a un’inconsapevolezza di cosa ci si aspetta da loro e come. A una sorta di irrazionale pudore, quasi a una vergogna. Ma i figli hanno assoluto bisogno di un padre attendibile, che mostri loro che un progetto di vita è possibile. Hanno assoluto bisogno di non disperdere la loro forza in compiti inutili e velleitari o controproducenti. Il padre infatti è il luogo del progetto a lunga scadenza, che insegna a rinunciare all’appagamento immediato per una meta soggettiva culturale e civile, che informi la vita, che gli dia sostanza e costanza. Il padre è il luogo della testimonianza che questo è difficile, ma possibile; che vale la pena di usare la propria aggressività, la grinta, la forza per questo e non contro se stessi o contro altri.
Il padre però, per essere credibile, deve essere testimone reale di questo movimento, di questa rinuncia all’orizzontale per il verticale, di questa posizione trascendente. Con i figli, come tutti sanno, conta più l’essere del fare o del mostrare. I figli ci guardano e vogliono vedere dei testimoni veritieri di un progetto di vita che sappia elevarsi dal mondo delle cose ad un luogo altro, desiderano uno sguardo verticale, che si elevi dalla mediocrità del materiale per aprirsi a quel mistero che, se ci concediamo di accorgercene, ci circonda e ci sovrasta come una rete invisibile. Ecco: il padre è lo sguardo al mistero, la capacità di sopportarlo, di affrontarlo, senza cedere alla tentazione di fuggire di fronte al timore che inevitabilmente ci coglie quando lo incontriamo.