2011: la donna è pari all’uomo?

Marisa Galbussera ("La Difesa del Popolo", 3 aprile 2011)

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Marisa Galbussera (“La Difesa del Popolo”, 3 aprile 2011)

Il filo conduttore di questo triennio di presidenza riguarda l’incontro con l’altro: lo straniero, l’immigrato, il credente in altre fedi ed altre religioni, colui che abita lontano da noi, che ha altri modi di pensare, di pregare, di divertirsi e di lavorare. Vogliamo uscire dalle quattro mura del nostro territorio per incontrarci con chi la pensa diversamente da noi e da cui – siamo sicure – abbiamo qualcosa da imparare.

Va in questa direzione la partecipazione del Centro Italiano Femminile alla conferenza che si è tenuta venerdì 25 marzo, alle ore 18,30, nella Sala Consiliare della Provincia di Padova, dal titolo “2011: la donna è pari all’uomo?”, organizzata dall’Associazione ex Allievi dell’Istituto Vescovile Barbarigo.

L’obiettivo dell’incontro era quello di porre l’attenzione sulla discriminazione delle donne in Italia.

Sono intervenuti: Luca Grion, Docente del Centro Studi J. Maritain, che ha trattato “L’etica della differenza sessuale”, Marisa Galbussera, Psicoanalista e Presidente provinciale C.I.F., che ha affrontato il tema del “Disagio femminile oggi”, Finizia Scivittaro, Psicoanalista, Consultorio Familiare C.I.F., che ha trattato “Il senso della prevenzione”, Rodolfo Balena, Presidente dell’Associazione Pari e Uguali, che si è occupato dei “diritti della donna: scopi e intenti dell’associazione” e, per concludere Souad Sbai, Parlamentare e Presidente dell’associazione Donne Marocchine in Italia, con un intervento dal titolo “Il fallimento del multiculturalismo moderno”. Ha introdotto l’incontro Bruno Bianchi della Fondazione Antonveneta, che ha sovvenzionato l’iniziativa, e Alberto Franceschi, che ha moderato gli interventi.

Dalle relazioni sono emerse diverse considerazioni  sull’identità di genere, sulla differenza costitutiva uomo/donna e sul disagio che le donne vivono oggi: siamo passati infatti dall’isteria del tardo ‘800 all’anoressia/bulimia che esordisce, in termini epidemici, negli anni ’70 del ‘900 e si prolunga fino ai giorni nostri. Questi disagi evidenziano lo “spirito del tempo”, il nostro, in cui il sacro è completamente espulso dall’orizzonte di pensiero e tutto è ridotto ad oggetto di utilizzo e di consumo. Le donne dunque, nella psicopatologia, hanno fatto un passo indietro, essendo questi disagi più gravi di quelli della donna di circa un secolo fa.

Il dibattito è poi proseguito nel sottolineare la carenza, tutta italiana, in materia di pari opportunità. Il rapporto 2010 sul Gender Gap del Word Economic Forum, che misura il divario di opportunità tra uomini e donne in 134 nazioni,  ha evidenziato infatti che il nostro Paese è sceso dal 72° al 74° posto: una classifica che ci vede dopo il Malawi ed il Ghana e ad un passo dall’Angola e dal Bangladesh. “L’Italia continua a risultare uno dei paesi dell’Ue con il punteggio più basso ed è peggiorata ulteriormente rispetto all’anno scorso”, sostiene il rapporto WEF.

Rodolfo Balena ha inoltre messo in evidenza i seguenti dati:  per quanto riguarda la posizione della donna nella politica, su 945 parlamentari solo 189 sono donne, mentre per quel che riguarda il parlamento europeo, su 72 parlamentari solo 17 sono donne. Inoltre su 60 capi di governo che si sono alternati nei 60 anni della nostra Repubblica le donne sono completamente assenti e, tra i Presidenti della Repubblica, tutti (11) sono risultati di sesso maschile.

Le donne italiane in politica ed in altri ruoli importanti sono poche: in sessant’anni solo 75 donne hanno ricoperto cariche di governo. La prima segretaria generale di un sindacato si è avuta solo nel 2006 e la prima presidente donna di Confindustria è stata eletta soltanto 3 anni fa.

Il messaggio fondamentale che questo incontro ha messo in evidenza è che per raggiungere l’uguaglianza di genere in campo economico, politico e civile non bastano incarichi di potere al femminile (che pure sono necessari), ma che tutti, uomini e donne, dobbiamo essere parte attiva per un vero cambiamento. Lo dobbiamo alle giovani generazioni, che ci guardano con aria interrogativa e probabilmente non capiscono perché non siamo stati in grado di assicurare loro che uomini e donne siano davvero  “le due ali dell’umanità”.

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